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Marziani

Mostra di Walter Grazzani
a cura di Giovanna Gammarota

“C’è un tono leggero nella composizione della scena che l’autore propone in questo lavoro dal titolo Marziani. Un tono che assume il sapore del ricondurre allo splendore quelle cose che nessuno guarda. I soggetti diventano “marziani” poiché estranei a quello che non è il loro mondo naturale. Fino a quando restano nella polvere delle strade solcate da individui senza sguardo non sono niente e nessuno, ma sul palcoscenico che Walter amorevolmente attrezza per loro diventano luminescenti.”

(dal testo critico di Giovanna Gammarota)

Biografia

Marziani, in genere, sono sempre gli altri. Qualcuno che è un po’ strano e che viene additato come diverso. “Guarda quello, sembra un marziano!” si usava dire un tempo con un lessico ironico divenuto ormai desueto. Walter Grazzani era uno di loro, soggetto egli stesso del proprio fotografare e per questo delle sue rappresentazioni si divertiva, senza però pretesa di divertire gli “altri”. Si sentiva parte di quel che si può osservare quando si guarda quegli objets trouvé, raccolti per strada, come se anch’egli si sentisse raccolto, trasformati in protagonisti un po’ increduli di una fotografia privata e, per questo, inevitabilmente destinata ai posteri.

C’è un tono leggero nella composizione della scena che l’autore propone in questo lavoro dal titolo, appunto, Marziani. Un tono che assume il sapore del ricondurre allo splendore quelle cose che nessuno guarda. I soggetti diventano “marziani” poiché estranei a quello che non è il loro mondo naturale. Fino a quando restano nella polvere delle strade solcate da individui senza sguardo non sono niente e nessuno, ma sul palcoscenico che Walter amorevolmente attrezza per loro diventano luminescenti, acquistano una allure da nuova Cenerentola qui ben rappresentata dalla delicata forma della ballerina di plastica che comunemente si trova nelle povere confezioni di datteri natalizi.

Al contempo c’è una forza in questi scatti data in primis dal divertimento scanzonato dell’autore o, dovremmo dire, del “collezionista”; in secondo luogo dagli oggetti che nella loro posa sembrano a tratti divertiti essi stessi ma anche solenni, proprio come chi non è avvezzo a farsi fotografare e quindi assume la maschera dello scherno come quella della nobiltà. In tal senso scorgiamo tra le immagini la “testa” di un pezzo di legno – forse un ramo – che entra nell’inquadratura su sfondo blu sul cui volto è quasi possibile scorgere un ghigno irriverente o lo strano oggetto di metallo “seduto” solennemente su un finto sasso realizzato con la creta nell’atto di guardare l’orizzonte.

Walter Grazzani inventa un nuovo mondo partendo da qualcosa che già esiste, un mondo intimo che non può uscire se non attraverso l’espressione dell’immaginario più puro, quello che appartiene alla sfera del gioco mettendosi egli stesso in gioco, ponendosi tra gli oggetti dimenticati. Sappiamo che inventare significa “trovare” e dunque anche “scoprire’” In questo lavoro ciò che l’autore fa è per l’appunto giocare a scoprirsi prima di tutto per auto svelarsi e un po’ per inventarsi in una forma comunicativa che possa dialogare con il mondo esterno.

Tuttavia nel contesto immaginifico di Walter Grazzani vediamo altre sfumature che connettono una narrazione solo apparentemente divertente e divertita con significati tutt’altro che semplici o banalmente estetizzanti. Si intuisce, forse involontariamente (ma questo purtroppo non potremo più scoprirlo) che alcuni elementi paiono essere utilizzati come simboli sotto traccia; parlano di uno stato interiore difficile da esprimere altrimenti. In questo senso l’immagine in cui vediamo le piume infilzate come bandiere al vento su una superficie realizzata con tappi di bottiglia ci fa pensare a una flebile barriera a salvaguardia di un territorio da proteggere ma al contempo aperto, la condizione in cui ci si trova quando si è esposti e ci si vuole preservare da un’invasività eccessiva ma in cui, al tempo stesso, si cerca il dialogo con l’altro in una forma il più possibile rispettosa e equilibrata. Questa immagine ricorda i territori degli indiani d’America, dapprima invasi e poi espropriati ai popoli che legittimamente li abitavano tanto da far diventare gli indiani stessi reclusi, marziani, forse, nella loro stessa terra. Quanti di noi si rendono conto della propria condizione intima di ‘indiano’ che non trova sbocco nella quotidianità e che porta a un malessere sotterraneo? Walter Grazzani sembra volerci comunicare che essere marziani non sempre e non solo è da intendersi in una accezione negativa o bizzarra, ma che forse è la vera normalità sottesa alle convenzioni.

È per tale effetto, dunque, che le forme raccolte in queste inquadrature appaiono nobili nello splendore che l’arte del fotografo dona loro, pur rimanendo se stesse: povere cose. La luce con cui Walter le illumina rivela la loro anima emersa da quel cassetto nascosto nell’intimo, colpevole di sentirsi inadatta allo sguardo altrui. Ogni cosa è illuminata scrive Jonathan Safran Foer in un suo famoso romanzo alludendo ai piccoli oggetti apparentemente inutili che il protagonista raccoglie (colleziona) nel suo percorso di avvicinamento alla memoria. La memoria è una questione privata, un affare intimo, non ci aspettiamo che venga compresa ci basta che si riveli a noi. E allora raccogliamo (collezioniamo) tutte quelle cose che ci assomigliano perché parlano il nostro stesso linguaggio ma che agli altri non dicono nulla perché rappresentano la nostra essenza prima ancora che noi stessi si riesca a capirla. Quando però le poniamo sotto la luce amorevole di uno sguardo privo di intenzioni, ecco che il velo della colpa cade rivelando ciò che avremmo sempre voluto mostrare, con pudore ma senza inganno.

Queste fotografie “ritrovate” dai fratelli di Walter appartengono a una doppia memoria, quella dell’autore e quella della sua famiglia. Ma se le guardiamo senza cercare di capire a tutti i costi cosa rappresentano forse riusciamo a trovare un tratto che può appartenere anche a noi. La chiave sta nella volontà di immergersi in un gioco – di quelli che i bambini inventano e che sembrano non avere senso – e “scoprire”, divertendoci nel giocare, chi siamo.

Giovanna Gammarota

Milano, ottobre 2023

Tutto ciò che è stato: una biografia diversa

Appena quindicenne e con il desiderio di diventare fotografo, Walter inizia a lavorare nell’agenzia “Publifoto”, a Milano, dove viene subito inserito come aiuto stampatore nella camera oscura occupandosi della stampa di fotografie di eventi sportivi e di cronaca. Questo sarà il suo lavoro per diversi anni che lo farà approdare, dopo il servizio militare, al prestigioso studio di Aldo e Marirosa Ballo. Ma già nel 1971, a poco più di vent’anni e in piena rivoluzione culturale e artistica, lascia il lavoro, abbandona Milano e si trasferisce a Londra che in quegli anni è meta vivace ed eccitante per quei giovani in cerca di un’altra dimensione di vita. Qui, per oltre un anno, lavora come cameriere e magazziniere immergendosi al contempo nel mondo hippy accompagnato dalle prime esperienze con gli spinelli, la musica e le ragazze. Lo ritroviamo così a fotografare il pubblico durante un concerto beat a Hyde Park. Le fotografie sono state ritrovate, come molte altre, in un cassetto cinquant’anni dopo.

Lasciata Londra alle spalle eccolo nuovamente in viaggio verso Capo Nord con due compagni d’avventura e alla guida di un precario maggiolino Volkswagen. Qui vivacchia per un certo periodo vendendo collanine. Tornato a Milano viene inaspettatamente ripreso allo studio Ballo, inizialmente sempre come stampatore, poi come assistente in sala di posa. In pochi anni Walter impara a padroneggiare abilmente il banco ottico e le luci e a metà degli anni Settanta assieme ad Armando, un altro assistente dello studio Ballo, apre un suo studio fotografico.

Nel 1978 con Armando, Fabio, Gianni, Massimo e Maurizio fonda lo Studio Azzurro che, grazie a una buona dose di fantasia, innovazione e creatività, si imporrà per più di un trentennio nel mondo della fotografia di arredamento e pubblicitaria.

Per cinque anni Walter lavora con passione e impegno conducendo uno stile di vita frenetico e spericolato, sempre in precario equilibrio tra libertà, desiderio di avventura e impegno nel lavoro quotidiano. È così che si ritrova a fare le esperienze di molti altri in quegli anni come passare una notte al carnevale di Venezia mischiandosi fino all’alba alle maschere che dilagano in piazza San Marco e che immortala con la sua Nikon. Ancora una volta però la sua ansia esistenziale lo conduce ad abbandonare il lavoro per andare incontro a una vita spoglia di gravose responsabilità, libera e liberata. Uno stato di “eccitazione” che dura finché durano i soldi; fino a quando la vita, con le sue ordinarie richieste, chiede il conto e Walter è nuovamente costretto a trovarsi un lavoro per andare avanti. E ancora una volta sarà fortunato! Viene infatti preso in prova come fotoreporter di cronaca nell’agenzia di Giancarlo De Bellis, conosciuto ai tempi in cui lavorava per la Publifoto. Un cambio di passo, un altro percorso. Non è più tra le luci artificiali di uno studio ma all’aria aperta in cerca dello scatto, del fatto, dell’evento e poi la corsa veloce per la consegna delle foto al giornale. Anche da fotoreporter Walter segue l’istinto della sua creatività, ricercando sempre l’immagine buona per i giornali, l’inquadratura inusuale come quella dei ragazzi che fingono di tirare le lancette di un grande orologio dipinto sul muro o della Madonnina di Milano fotografata con la mascherina sul volto a causa dello smog che attanaglia la città. Questi anni da fotoreporter, sempre eccessivamente iperattivi, li passa in compagnia del suo amatissimo cane ex randagio Romolo, incontrato e adottato a Roma, e che spesso diventa attore e modello delle sue trovate fotogiornalistiche.

La chiusura dell’agenzia De Bellis lascia Walter ancora una volta senza lavoro. Il “male oscuro”, la depressione e un umore instabile si impadroniscono di lui e lo condizionano dolorosamente nel suo percorso di vita e di fotografo.

Sono anni di immane sofferenza ed è solo grazie all’aiuto della famiglia che riesce a mitigare il suo stato di agitata depressione, lavorando per diversi anni nello studio fotografico dei fratelli, dedicandosi con passione, nel suo tempo libero, alla difesa degli animali abbandonati e bistrattati, attività che lo porta a realizzare un toccante reportage sui cani accolti in un canile alle porte di Milano.

L’ultima sua ricerca fotografica da lui intitolata “I marziani”, qui esposta, è rappresentata da piccole composizioni realizzate con materiali poveri, raccolti per strada: lattine, pietre, piume d’uccello. Immagini di un piccolo mondo, oggetti inanimati che così composti rimandano alla semplicità delle cose e alla loro vitalità giocosa.

Grazie Walter per le belle immagini che ci hai lasciato, questa mostra è dedicata a te.

I tuoi fratelli